I problemi sono come le ciliege. Uno tira l’altro. Fateci caso: ogni volta che ci si presenta un ostacolo, un piccolo inghippo, anche insignificante (a guardarlo bene), succede che in cascata ne arrivano altri, più o meno “importanti”. La risposta più frequente all’insorgere di un problema è il blocco, l’immobilità e, spesso, insieriamo la retromarcia cercando di fare quella cosa che tanto ci piace ma che ci priva (inutilmente) di una quantità immane di energia: aggirare l’ostacolo. Non guardiamo nemmeno più al problema, ci occupiamo unicamente di trovare una via di fuga, una scappatoia, comportandoci -nostro malgrado- come tanti struzzi affetti da miopia.
Un esempio tra i più banali. L’amore della nostra vita (o quello che riteniamo tale) ci fa capire o ci dice a chiare lettere che non prova più nulla per noi oppure, più semplicemente, che si trova in un momento di confusione e ha bisogno di riflettere in solitudine (alias senza di noi accanto) sul nostro rapporto. Ora, dopo aver espletato le funzioni del tutto legittime degli abbandonati inconsolabili (leggi sorpresa, delusione, disullusione, pianto, rabbia…), ci sono diversi modi di inquadrare la questione ma due sono i principali. Versione costruttiva: mentre attendiamo nuove, sfruttare tutto il tempo libero ritrovato per fare qualcosa che ci piace tanto ma che non abbiamo mai avuto il tempo di fare. Versione distuttiva: cominciare a controllare i movimenti dell’amato bene qualsiasi cosa faccia anche sfruttando conoscenze in comune, parlarne male a ogni occasione che ci si presenta, piangere, autocommiserarsi e mangiare a sproposito con il naso che cola davanti alla Tv, bere tutto fuorché acqua, fumare più del solito per sfogare l’ansia, farsi tanto male, in buona sostanza. Tra qesti due opposti esistono una miriade di spazi e luoghi che si chiamano punti di vista o di osservazione.
Nel primo caso, evidentemente, siamo stati in grado (con tutta la fatica che comporta cambiare atteggiamento) di trasformare il problema in una opportunità mentre nella seconda ipotesi ci siamo lasciati travolgere da un evento che abbiamo catalogato come estremamente negativo e lo abbiamo fatto diventare il centro della nostra vita, ci lasciamo trasportare dal problema e dale sue conseguenze come da un mare agitato.
In realtà, più si cerca di osservare il problema da ogni possibile angolatura, come non fosse successo a noi (difficile ma non impossibile) e maggiori saranno le opportunità che saremo in rado di cogliere. Un problema può essere una spinta a crescere, a essere più consapevoli di noi stessi e del nostro atteggiamento nei confronti della vita. Può indicarci la via per migliorare il nostri stile di vita e non soltanto dal punto di vista ideologico ma pratico, quotidiano, anche materiale.
E poi c’è chi i problemi di un’intera comunità o dell’intero Pianeta Terra li crea ad hoc per poi sfruttarne la follia massificata. Ma questa è un’altra storia. Troppo polemica per essere trattata in questi termini in questo magazine. Lasciamo al singolo le proprie riflessioni in merito.
I problemi sono come le ciliege forse anche perché alla fine sono “buoni”. Ci danno la possibilità di cambiare. Sta a noi scegliere se e come.
In pratica
Ogni giorno, di fronte a un piccolo incoveniente, che si sviluppi nell’ambiente professionale, in una relazione, al supermercato o dal barbiere, prova a “reagire” come non avevi mai fatto prima. Osserva cosa accade mettendo in atto il nuovo te di fronte al problema. Se fai questo gioco almeno una volta al giorno, partendo da piccoli disguidi per passare lentamente a livelli sempre più “importanti”, non ti sarà difficile verificare in prima persona che non solo il numero di problemi diminuirà sistematicamente ma che comincerai a percepire in modo diverso, più leggero, anche quelli che verranno.