Oltre l’ovvio del misurabile

Che non esiste solo il visibile, il tangibile, il misurabile, l’empiricamente verificabile, in buona sostanza qualcosa che potremmo definire “l’ovvio”, è ormai per alcuni cosa notissima, per molti semplicemente nota, per moltissimi un “sentito dire” non meglio indagato, dimentichi forse del fatto che il concetto di “anima” e, spingendoci oltre, quello di “Dio”, appartengono proprio alla dimensione del non misurabile, per ora e con l’ausilio degli attuali strumenti in dotazione all’umana scienza.

Le ultime frontiere della ricerca in materia di genoma, fisica, quanti, neuroscienze in generale, si espandono a velocità impensate fino a qualche decennio fa, procedendo a passo spedito verso la ri-unione, la re-integrazione dell’io sociale, corredato da numerose sfaccettature, al Sé più intimo e, per certi versi, atavico, quell’essenza pura, scevra da condizionamenti e sovrastrutture che ciascuno di noi chiama in modo diverso. Non solo.

Reintegrare, in questo caso, non significa solo restituire dignità a quella sfera interiore che nell’era meccanicistica ha dovuto cedere il passo alla macchina-uomo, fatta di organi-pezzi di ricambio e complesse connessioni materiche, ma anche e soprattutto desiderare di conoscerla e comprenderla. Come direbbe Sebastian Seung, professore di neuroscienze computazionali e fisica al MIT di Boston, noi non siamo solo i nostri geni, siamo molto di più: siamo il nostro “connettoma”.

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Il futuro è segnato -che lo si voglia o no- dalla volontà di accettare ciò che non è (attualmente) misurabile come parte integrante della nostra essenza, come motore portante della nostra stessa esistenza, quell’istanza che è principio generatore di ogni nostro singolo istante di vita, a cui ognuno può e deve attingere come a una sorgente inesauribile, in quanto parte di un flusso che non ha (per quanto ne sappiamo) né inizio né fine, sebbene in costante evoluzione.

Abstract-1Sarebbe dunque auspicabile una maggiore attenzione di ogni individuo a questa complessa e sconosciuta dimensione profonda, che contiene, include e, naturalmente, trascende tutto ciò che è necessario alla vita come la conosciamo: la vitalità, in primo luogo, che non è intesa qui come stamina o, peggio, indice di produttività ma come vera e propria spinta vitale. Quella stessa vitalità che nasce e si sviluppa insieme alla vita stessa e che potremmo definire “moto a vivere”, nella sua espressione più pura e cioè quella curiosità delle cose della vita che è essa stessa un “volerci essere” totalmente, integralmente, come direbbero gli anziani: “anima e corpo”.

Va da sé che per raggiungere un discreto stadio di comprensione dell’esistenza di questa dimensione e, dunque, della capacità di attingere a questa fonte di vitalità, è necessario assumersi la responsabilità di volerlo fare. Mettersi al lavoro per conoscersi oltre l’ovvio, insomma.

Quello della conoscenza di sé è un viaggio e come tutti i viaggi riserva sorprese, che a volte ci pacciono e altre no. Questo però non significa che le sorprese spiacevoli non ci siano utili. Se vogliamo comprendere, dobbiamo voler conoscere e c’è un’unica via per questo: fare l’esperienza, anche se non ci piace, anche se ci fa paura, se ci annoia, se ci rende impazienti o tristi, arrabbiati o delusi. Non c’è altro modo.

È un lavoro, l’unico dal quale non si va in pensione. E forse, l’unica vera carriera per la quale valga la pena di fare sacrifici. Il sacrum facere della vita.

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